La comunicazione interpersonale è il “pane quotidiano” dell’essere umano. Tuttavia, una metodologia espressiva valida e univoca per ogni situazione sociale non esiste. Contenuto, contesto e mezzo comunicativo devono convivere in un rapporto di stretta interdipendenza.
Comunicazione e Dimensione Sportiva
Il fenomeno espressivo e sociale, si rivela particolarmente interessante, nella “dimensione” sportiva. Infatti, analizzando attentamente cause e conseguenze delle sue tecniche relazionali, se ne potrà scoprire la fondamentale importanza e verrà da chiedersi: davvero lo sport di gruppo si può sintetizzare nel semplice “gioco di squadra”? Qual è il vero ruolo di un coach?
Non è facile ricercare un’unica risposta a queste domande. Sicuramente, possiamo affermare che una buona performance sportiva, è il risultato di una efficiente relazione comunicativa con il proprio allenatore. Quindi, apprezzamenti, critiche, ma non solo. Il codice e il contenuto di un modulo comunicativo, devono caricarsi di empatia, spirito motivazionale, persuasione, attenzione. Devono “intrecciarsi” tra loro in una “simbiosi” perfetta, accompagnando gradualmente l’ascoltatore nel nostro “territorio emotivo” e nel nostro modo di percepire la realtà.
Dialettica e Psicologia
E’ fondamentale possedere una buona dialettica e saper comprendere la psicologia dell’individuo che abbiamo di fronte, ma è ancora più determinante la nostra capacità di “ascolto attivo”.
Un buon allenatore sa “coordinare” la squadra, fornendogli indicazioni sulle strategie tecniche da adottare in campo, ma sa anche, e soprattutto, “giocare con la squadra”. Il raggiungimento di un obiettivo sportivo, è la conseguenza di un lungo “percorso umano”, ricco di gioie e di dolori, da affrontare insieme. Il termine “lavoro di squadra” affonda le sue radici nel “noi“.
Saper “fare gruppo”, significa esercitare continuamente le proprie doti di accoglienza, inclusione, comprensione, altruismo. Occorre sviluppare la consapevolezza che ognuno di noi è decisivo e svolge un ruolo importante per giocare “la partita perfetta“.
Identità Emotive
La figura del coach, deve guidare le identità emotive e caratteriali di ogni giocatore, incanalandole in un’attività sincronizzata e armonica. In funzione di ciò, vale la regola che “tutti devono essere trattati in modo uguale, ma, allo stesso tempo, diverso”. Come si può, infatti, formare un’ identità collettiva e profondamente sentita da ogni giocatore, se non vengono rispettate le peculiarità individuali di ognuno?
Essere capaci di superare quella “barriera relazionale”, che ostacola una visualizzazione degli obiettivi, comune per team e allenatore, costituisce un elemento essenziale per “segnare il primo punto”. Successivamente, sono necessarie tanta pazienza, perseveranza e determinazione. L’allenatore deve “insegnare”, ma non deve mai stancarsi di “imparare” dai suoi giocatori e dalle esperienze sul campo, mettendo da parte la “fame di gloria” e l’orgoglio personale.
Imparare dagli Errori
Particolare attenzione va poi rivolta all’ambito degli “errori”. Ogni componente del team, dalla riserva all’allenatore, deve imparare a riconoscere un proprio sbaglio e ad agire costruttivamente per rimediare e non ripeterlo. Quando si lavora in squadra, l’azione e le decisioni del singolo, determinano il comportamento e l’attività di tutto il gruppo. Ricordiamoci che non stiamo “giocando da soli”.
Fra i doveri di ogni buon coach, rientra quello di far acquisire consapevolezza e riflessione ad ogni giocatore, sulle proprie scelte in campo. Prendere parte al “ciclo di vita” di una squadra sportiva, vuol dire avere la stessa “bussola morale” e ricordarsi sempre che nessuno deve essere ignorato e “lasciato indietro”.
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